13 Aprile 2021

Pubblicità per gli avvocati: i casi più discussi e uno sguardo all’estero

SUSANNA TAGLIAPIETRA

Immagine dell'articolo: <span>Pubblicità per gli avvocati: i casi più discussi e uno sguardo all’estero</span>

Abstract

L’applicazione della regola ai casi concreti: principi e limiti della promozione professionale attraverso i casi censurati dal Consiglio Nazionale Forense.  
L’esperienza del mondo anglosassone: ma è vero che “comprare servizi legali è come comprare una scatola di fagioli”? 

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Intervista a Susanna Tagliapietra: avvocato, professore aggregato di Istituzioni di Diritto Privato all’Università di Padova, Responsabile scientifico 4cLegal. 

Avvocato, quali sono i casi più discussi di violazione dei principi base della pubblicità tra avvocati? 

Le decisioni del Consiglio Nazionale Forense più frequenti si trovano subito dopo l’entrata in vigore dell’ultima riforma del codice deontologico 22 gennaio 2016.  

Sempre al centro dell’attenzione è il divieto di pubblicità ingannevole. Per esempio, è stato sanzionato un avvocato che aveva pubblicizzato informazioni sulla propria attività professionale, affermando che il suo studio legale si occupava di infortunistica stradale “seriamente”, senza “spese di istruttoria” e con “totale supporto in ogni fase del procedimento”, lasciando intendere un quid pluris rispetto agli obblighi che invece sono connaturati al corretto esercizio della professione forense (CNF 18 dicembre 2017, n. 208).  

Un caso eclatante e sanzionato è stata la pubblicizzazione di appartenenza a un network telematico di professionisti che rappresentava una realtà non veritiera ed auto elogiativa (CNF 30 dicembre 2016 n. 391). 
 

Una delle maggiori differenze con la pubblicità commerciale, è il divieto di pubblicità comparativa, come viene interpretato dal CNF? 

Casi tipici sono quelli del professionista che garantisce il “pieno successo” degli incarichi affidatigli (CNF 9 marzo 2017, n. 8), o che si definisce “specialista assoluto”, sanzionati nel senso che l’enfatizzazione delle proprie doti professionali, implicitamente le nega alla parte restante della categoria professionale (CNF 29 aprile 2017, n. 49). 

Resta il divieto di accaparramento della clientela, quali sono i confini con la pubblicità lecita? 

Un principio generale è che il messaggio informativo dovrebbe esaurirsi nel fine promozionale, non protendere concretamente all'acquisizione del cliente: il CNF (n. 349 del 24 novembre 2016) ha sanzionato un messaggio pubblicitario fondato sulla suggestione di un'esagerata convenienza economica, fatta di prestazioni offerte gratuitamente o a prezzi simbolici, e capace di condizionare su larga scala potenziali clienti. 

In altre due sentenze il CNF (n. 390 del 30 dicembre 2016 e n. 69 del 21 giugno 2018) ha censurato un avvocato che offriva assistenza legale gratuita con una email indirizzata a un soggetto singolo individuato come potenziale cliente, in quanto coinvolto in fatti di cronaca rilevanti. 
 

E quanto al divieto di intermediazione? 

Il CNF con sentenza del 12 settembre 2018, n. 104 ha chiarito che viola questo principio l’avvocato che assuma pratiche per il tramite di un’agenzia e svolga attività professionale senza ricevere il mandato diretto della parte assistita. La circostanza che il contratto tra assistiti e agenzia recasse la previsione di un affidamento del mandato a professionisti indicati dall’agenzia è stata ritenuta una prova documentale dell’intermediazione di opera professionale. L’avvocato non solo aveva assunto l’incarico professionale grazie all’agenzia, ma lo aveva gestito in modo non autonomo, dimostrando di rendere conto a quella che è stata ritenuta essere la reale mandante. 
 

Ma l’avvocato può pubblicizzare la propria tariffa? 

Sì, c’è una significativa sentenza del CNF del 28 dicembre 2017, n. 243 che ha annullato la sanzione che il Consiglio territoriale di appartenenza aveva inflitto all’avvocato per aver offerto tramite internet “separazioni e divorzi contrattuali con accordo già raggiunto da € 800,00”. Il principio è che non può considerarsi contrario al decoro e alla correttezza un messaggio pubblicitario che contenga tutti gli elementi richiesti dalla disciplina deontologica, solo perché enfatizzi il corrispettivo -se congruo e proporzionato-, che del resto costituisce un elemento contrattuale di interesse primario per il cliente e fondamentale per un’informazione pubblicitaria corretta e completa. 
 

Si ritiene comunemente che nel mondo anglosassone ci sia una tradizione di maggiore apertura verso la pubblicità degli avvocati, è vero? 

Sì, diciamo che negli USA il processo è iniziato una quarantina d’anni prima. Nel 1976 in Arizona il Disciplinary Rule 2-101 statuiva il divieto per l'avvocato di farsi pubblicità su quotidiani e riviste, radio e televisioni, cartelli pubblicitari, elenchi telefonici, e ogni altro mezzo. 

Il leading case è stato Bates V. State Bar of Arizona - 433 U.S. 350. Gli avvocati Bates and O’Steen avevano pubblicato un riquadro pubblicitario su un giornale. Nel 1977 alla fine di una dibattuta vicenda si è affermato il principio che: la pubblicità degli studi legali e dei servizi legali avrebbe avvicinato il pubblico alla giustizia e ne avrebbe migliorato l’amministrazione; l'informazione va a vantaggio dei consumatori, non dell'avvocato; il divieto di pubblicità per gli avvocati è contrario al primo emendamento (che garantisce la libertà di parola e di stampa). 
 

E nel regno Unito? 

Nel 1986 la Law Society of England and Wales consente la pubblicità che fino ad allora era vietata, a condizione che le informazioni non siano fuorvianti. Il Legal Services Act del 2007 (cd. Tesco Law), in vigore dal 6 ottobre 2011, permette agli studi legali di operare come ABS Alternative Business Structure imprimendo una significativa evoluzione all'offerta dei servizi legali. 

Così commentava il Financial Times del 4 agosto 2011: the UK 'big bang' deregulation…to make buying legal services as easy as buying a tin of beans. 
 

Com’è la situazione nell’Europa continentale?

Sostanzialmente non dissimile dall’Italia. In Germania, una sentenza della Corte Costituzionale del 1987 ha eliminato il divieto di pubblicità affermando il principio costituzionale di libertà professionale. I limiti e le regole: verità e correttezza; divieto di pubblicità finalizzata al conferimento di un incarico in un caso singolo; non si può indicare il fatturato, si può inserire il nominativo dei clienti con il consenso di questi. 

In Svizzera il principio cardine sta nell’art. 16 codice deontologico del 2005: l'avvocato può fare pubblicità; la pubblicità deve essere veritiera, conforme ai principi di correttezza professionale e deve salvaguardare il segreto professionale. In Francia la pubblicità è consentita dal 1991 “nella misura in cui essa procura al pubblico una necessaria informazione”; in Spagna l’art. 7 del Codice deontologico stabilisce che “l'avvocato può pubblicizzare la propria attività a condizione che la pubblicità sia dignitosa, veritiera e corretta e che rispetti la dignità della persona, la normativa in materia di pubblicità, concorrenza, concorrenza sleale e la disciplina deontologica nazionale e locale”; è possibile utilizzare i nomi dei clienti con il consenso.* 

 

* informazioni tratte da un convegno organizzato nel 2019 dall’Ordine avvocati di Padova. 

 

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