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Da quando il c.d. “legal procurement”, ossia l’acquisto di servizi legali, è diventato oggetto di attenzione in Italia, uno dei topic classici riguarda l’individuazione della funzione aziendale più adatta ad occuparsene.
A livello tendenziale, due sono gli orientamenti:
- da un lato, coloro secondo i quali i servizi legali dovrebbero essere acquistati da chi, di servizi legali, “se ne capisce davvero” e poi, con gli avvocati, “ci lavora quotidianamente, gomito a gomito”. La direzione legale ha la responsabilità dell’assistenza legale in azienda e dovrebbe quindi avere l’onere e l’onore di scegliere gli avvocati con cui lavorare e cui affidare gli incarichi;
- dall’altro lato, coloro secondo i quali i responsabili della funzione acquisti in azienda dovrebbero occuparsi anche dell’acquisto di servizi legali: essi posseggono le skills e le competenze migliori per gestire le dinamiche di acquisto e i rapporti con i prestatori di servizi e a costoro dovrebbe quindi toccare anche il legal procurement. Più che negare del tutto il coinvolgimento della direzione legale, essi intendono limitarlo alle sole valutazioni di carattere “tecnico”, ossia relative alle competenze, esperienze e capacità degli avvocati. Il processo dovrebbe essere quindi improntato a “segregazione”, con gestione a cura della direzione acquisti e coinvolgimento puntuale e limitato della direzione legale (in aggiunta, eventualmente, ad altre funzioni di volta involta interessate, quali ad esempio le funzioni business richiedenti assistenza legale o la direzione finanza).
Una delle ragioni per le quali il tema è così presente nelle riflessioni aziendali è che oggi, nella maggior parte dei casi, l’acquisto di servizi legali avviene tramite affidamento diretto, esclusivamente su base fiduciaria. Questa impostazione cozza con la prassi utilizzata generalmente in azienda per tutti gli altri acquisti, in relazione ai quali è normale applicare -in modo più o meno strutturato- metodologie concorrenziali. Per farla breve, prima di acquistare quasi qualsiasi servizio è normale procurarsi una pluralità di offerte, paragonarle e quindi scegliere: in questo modo si documenta una scelta adeguata da un punto di vista qualitativo e anche economico (condizioni di mercato). Il fatto che questa metodologia non sia la regola per i servizi legali inizia a destare sempre più perplessità e rafforza gli argomenti delle direzioni acquisti che spingono per occuparsi anche del legal procurement.
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A nostro avviso, la competenza per l’acquisto di servizi legali dovrebbe spettare alla direzione legale, solo dovrebbe avvenire secondo logiche più coerenti con i principi chiave in materia di acquisti: dovrebbe infatti essere seguito un processo di acquisto oggettivo, trasparente, tracciabile e competitivo. L’affidamento diretto, slegato da logiche concorrenziali e oggettivabili, dovrebbe essere l’eccezione (come previsto, tra l’altro, nelle Linee Guida alla compilazione dei Modelli Organizzativi 231 approvate da Confindustria e dal Ministero della Giustizia nel 2014).
In tal senso, la soluzione che abbiamo proposto alle direzioni legali, ricevendo conferme sempre crescenti (Testimonianze Aziende), è quella del c.d. “beauty contest digitale”. Funziona come di seguito.
Nelle direzioni legali che utilizzano il beauty contest digitale (peraltro gratuitamente) non ci sono particolari ragioni per spostare la competenza sul legal procurement a favore della direzione acquisti. Il processo è in linea con quello che seguono le direzioni acquisti ma con alcune fondamentali differenze: è pensato per i servizi legali, che non sono beni o servizi standard ma prestazioni intellettuali ad alto valore aggiunto.
In queste direzioni legali, il beauty contest digitale - svolto sulla piattaforma www.4clegal.com - si inserisce sostanzialmente come segue.
Gli studi legali che riconoscono (veramente) nella concorrenza e nella meritocrazia un valore non hanno avuto difficoltà ad aderire alla nostra piattaforma, rendendoci l’onore di un significativo apprezzamento (Testimonianze Studi).
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Un’importante notazione conclusiva riguarda la discrezionalità delle direzioni legali che utilizzano il beauty contest digitale. Falso problema agitato, talora grottescamente, da operatori che -privi di argomenti di merito- cercano di creare confusione per mantenere proprie, o difendere altrui, rendite di posizione.
Se immaginiamo che la direzione legale debba scegliere i professionisti più adatti e affidare loro incarichi a condizioni di mercato, il beauty contest digitale è uno strumento manageriale che aiuta le direzioni legali a esercitare la loro discrezionalità. Non dimentichiamo infatti che è la direzione legale a scegliere:
- quali studi legali invitare ai beauty contest digitali (primo “momento” di discrezionalità) e
- a quale studio legale affidare l’incarico (secondo “momento” di discrezionalità).
Qui non è in gioco la discrezionalità della direzione legale: come vediamo costantemente nella nostra piattaforma, la direzione legale può decidere di affidare l’incarico a uno studio legale che propone condizioni economiche meno convenienti di un altro, ma che offre maggiori garanzie in termini di expertise e modalità di lavoro, come, viceversa, può valorizzare particolarmente la competitività dove ritiene che questa debba essere il driver principale.
Il General Counsel esercita una piena discrezionalità manageriale che non viene certo meno per il fatto di disporre di evidenze chiare, tracciate e comparabili ai fini della scelta: concludere il contrario significherebbe dire che il General Counsel è obbligato, se svolge il beauty contest, ad affidare l’incarico allo studio legale che è risultato più “economico”, affermazione che -oltre ad essere smentita costantemente nella nostra esperienza di beauty contest digitali- porta a una rappresentazione quasi caricaturale di quello che è da tutti identificato come un manager in crescente ascesa nell’organigramma aziendale.
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Considerare la dialettica tra direzione legale e direzione acquisti come una questione di “potere” è a nostro avviso fuorviante e rischioso per le direzioni legali. Il tema chiave ci sembra piuttosto quello del “processo”: utilizzare un processo di legal procurement quale il beauty contest digitale consente di rafforzare la figura del General Counsel manager e contrastare argomenti attrattivi delle direzioni acquisti che trovano fondamento nei modelli organizzativi aziendali e in principi obiettivamente difficili da contestare (oggettività, trasparenza, tracciabilità, concorrenza).