25 Febbraio 2019

Medico competente e sicurezza sul lavoro: la visita va eseguita personalmente

GIOVANNI SCUDIER

Immagine dell'articolo: <span>Medico competente e sicurezza sul lavoro: la visita va eseguita personalmente</span>

Abstract

La Corte di Cassazione prosegue il suo percorso di elaborazione della figura del medico competente come funzione essenziale del sistema di sicurezza aziendale, in quanto titolare di un ruolo primario ai fini del supporto al datore di lavoro; si tratta di un obbligo di collaborazione ed iniziativa, non meramente passivo, in cui la personalità della prestazione è inderogabile. Ciò produce effetti anche sul datore di lavoro e sull’intera organizzazione, anche nella prospettiva della responsabilità 231.

***

Le visite mediche previste dagli obblighi di sorveglianza sanitaria (art. 25 del Decreto 81/08) devono essere eseguite dal medico competente personalmente, senza possibilità che vi provvedano per suo conto altri medici.

Lo ha statuito di recente la Corte di Cassazione (sezione V, 14 giugno 2018 n. 45844) in una fattispecie in cui ha confermato l’applicazione nei confronti di un medico della misura della sospensione dall’esercizio della professione medica per i reati di falso ideologico e frode in pubbliche forniture, per avere falsamente attestato, mediante la sottoscrizione delle certificazioni relative alle visite ed al giudizio di idoneità dei dipendenti, di avere effettuato personalmente le visite, benché eseguite da collaboratori.

Apparentemente quasi scontato, il principio espresso dalla Suprema Corte è tuttavia interessante, perché richiama l’attenzione sul tema del falso, in cui incorre il medico che gestisce con leggerezza le visite; inoltre per la motivazione fornita, che riporta al tema più generale della organizzazione della sorveglianza sanitaria, soprattutto nelle strutture complesse e quando l’incarico sia oggetto di affidamento a studi associati o a società di medicina del lavoro; infine vanno considerati gli effetti che il tema produce anche nei confronti del datore di lavoro.

Alla tesi dell’indagato, secondo cui sarebbe consentito al medico competente formulare i giudizi di idoneità anche in presenza di visite effettuate da altri medici, la Cassazione contrappone la natura squisitamente personale della prestazione, sia in base al dato letterale dell’art. 41 commi 1 e 2 del Decreto 81/08, sia in base al dato logico che si trae dal comma 4 del medesimo articolo. Ed infatti, poiché la visita include anche gli esami clinici, biologici e indagini diagnostiche “ritenuti necessari dal medico competente”, la Corte ne ricava il principio che questa necessità “non può che essere valutata, in base ai primi risultati delle visite, dallo stesso medico competente”; sicché è assolutamente “coerente, nel complesso della previsione normativa, che detto medico esegua personalmente le visite”.

Visita del lavoratore, individuazione e prescrizione degli esami specialistici, formulazione del giudizio di idoneità, sono passaggi necessari di un unico processo da gestire personalmente: ennesima conferma giurisprudenziale del ruolo personale del medico competente all’interno delle organizzazioni e più specificamente nel sistema di sicurezza aziendale.

La Suprema Corte aveva già avuto modo di ricordare che la sorveglianza sanitaria non si esaurisce nella meccanica e ragionieristica esecuzione di visite, ma costituisce strumento essenziale con cui in cui il medico competente coadiuva il datore di lavoro, e questo fin dalla valutazione dei rischi, in quanto portatore di specifiche conoscenze professionali che garantiscono a quello l’apporto di qualificate cognizioni tecniche (Cass. Pen., sez. III, n. 38402/2018); in quanto funzione di “effettiva integrazione nel contesto aziendale”, il medico competente è titolare di un vero e proprio obbligo di collaborazione, “che comprende anche un’attività propositiva e di informazione” e non può ridursi ad un “ruolo meramente passivo”.

L’affermazione della natura personale dell’obbligo di visita costituisce un ineludibile elemento di questa funzione, anche e proprio sotto il profilo della valutazione personale della necessità di esami e indagini specialistici (la cui esecuzione può invece essere demandata a medici specialisti, scelti in accordo con il datore di lavoro, come espressamente prevede l’art. 39 comma 5).

E’ sulla base di tale visione che la Suprema Corte ha ad esempio sancito, in una ipotesi di decesso causato da insufficienza cardiaca acuta determinata da sforzo, il principio secondo cui “la circostanza che il lavoratore possa trovarsi, in via contingente, in condizioni psico-fisiche tali da non renderlo idoneo a svolgere i compiti assegnati è evenienza prevedibile, sicché “anche una caduta accidentale, un malore o simili non escludono il nesso causale” (Cass. Pen., sez. IV, n. 1465/2019). Certo per conclusioni simili contano le peculiarità del caso concreto, e occorrerebbe comunque riflettere circa la esistenza di un corrispondente obbligo collaborativo del lavoratore in sede di visita, o circa la effettiva prevedibilità di talune situazioni; ma la pretesa di un esercizio molto rigoroso della funzione di sorveglianza sanitaria è evidente.

Il principio vale a maggior ragione, quando affidatario contrattuale del servizio non sia il medico personalmente, ma una struttura associativa o societaria di cui quello fa parte e che dalla struttura è indicato: fenomeni di alternanza di medici, di sostituzione più o meno occasionale, di esercizio non unitario né continuativo della funzione non sono consentiti; occorre piuttosto gestire adeguatamente gli strumenti previsti dalla norma per le situazioni complesse, ad esempio il medico coordinatore di più medici competenti (art. 39 comma 6).

Infine, il datore di lavoro non è certo soggetto estraneo alle scelte organizzative del medico competente; una sorveglianza sanitaria inadeguata non soltanto costituisce violazione degli obblighi del datore di lavoro (art. 18, comma 1 lettera g), ma anche e soprattutto innalza il livello del rischio di manifestazione di malattie professionali (quando non di infortuni causati, come si è visto sopra, da condizioni psico-fisiche non adeguatamente valutate).

Se poi la disfunzione nella sorveglianza sanitaria venisse considerata la conseguenza di un affidamento contrattuale al risparmio (magari perché il capitolato delle prestazioni richieste/offerte enumera le visite da compiere e poco altro, o perché ad eseguire le visite risultano essere soggetti diversi dal medico competente designato che operano a singola prestazione), ne potrebbe conseguire un’ulteriore conseguenza, e cioè l’applicazione delle sanzioni della responsabilità 231 per la ritenuta esistenza di un interesse o di un vantaggio, individuati più o meno automaticamente proprio nel risparmio di spesa, secondo quello che appare essere attualmente il principio seguito dalla giurisprudenza in materia.

 

Altri Talks